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Mio fratello, l’immigrato…

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18-01-2015

di Maria Grazia Meloni
Foto di: lifeof pix

La paura dell’”altro”, del “diverso” è una questione atavica che coinvolge l’essere umano da un punto di vista ontologico. Ognuno di noi si è sentito “straniero” in qualche occasione, e il bisogno di appartenenza alla “terra”, alla propria terra è la condizione a cui attaccarsi, a cui tornare… “Non molesterai il forestiero né lo l’opprimerai, perché foste stranieri nella terra d’Egitto”. (Es 22, 20)

Dopo millenni di migrazione, evoluzione, cambiamento, l’essere umano ancora tenta di rifiutare l’”altro” come diverso da sé. E questo ventunesimo secolo, culturalmente avanzato, non ne è immune, anzi, questa nostra epoca, cosiddetta postmoderna, vede nel migrante qualcuno che sfugge da cose che non la riguardano, che non riguardano la nostra individualità. E’ inevitabile che in una visione così egoistica della vita, il migrante non è altro che il rifiuto, l’errore di qualche società poco sviluppata e lontana…

Una lettura antropologica e sociologica ci permetterebbe di guardare la problematica da una prospettiva precisa, utile a inquadrare la questione, ma senza superarla; quello che vogliamo mettere in evidenza, invece, è la necessità empatica di riconoscere nello “straniero” un fratello e non un “diverso”. Le motivazioni che spingono gli uomini a lasciare la propria terra e a diventare migranti sono molteplici, ciò che li contraddistingue è la speranza di una vita migliore, laddove “migliore” viene inteso come qualcosa che sia il più lontano possibile dalla fame, dalla povertà o dalla guerra. C’è pure chi si lascia ingannare da una parvenza patinata, raccontata idealmente dalle televisioni occidentali, che parlano di un mondo bello e buono, dove tutti possono avere quello che vogliono. Quello che è certo è che la disperazione fa vedere luce anche là dove a volte c’è solo buio.

La realtà nella quale ci muoviamo deve fare i conti con uno stato non preparato a una così alta migrazione e a una società troppo ripiegata su se stessa, forse “vittima” di quelle ideologie che hanno reso l’uomo sempre meno “essere” e sempre più “individuo” o meglio più “individualista”. Ma come dimenticare che Cristo è stato un migrante?! Uno “straniero” in una terra non sua! In Cristo noi siamo quello straniero, siamo l’altro. Egli si è rifugiato in una terra lontana per sfuggire la morte affinché si adempisse il suo Kerigma. Cristo è l’archetipo al quale rivolgersi. Egli è lo sguardo dello straniero che si fa presente oggi. E’ questa consapevolezza che ci permette di aderire a questo manifesto contro l’indifferenza, contro la non curanza dell’altro. Certo è la fede che media tale coscienza, non come un limite per chi non la possiede, ma come una via privilegiata che conduce attraverso lo sguardo di chi non ha paura dello straniero. L’uomo, immagine di Dio, si muove attraverso la storia e si evolve, cresce, diviene consapevole dell’importanza dell’accoglienza, del sostegno, dell’amore verso l’altro da sé. Egli deve indignarsi di fronte a una società ripiegata su se stessa, che limita il rispetto per sé e per l’altro. Perché senza l’altro non siamo niente.

Purtroppo il “belpaese”, luogo di migrazione lontana, oggi accoglie lo straniero con diffidenza. Tuttavia, la “compassione” cristiana, che significa “patire insieme”, si identifica, lo vede come un fratello e si impegna attraverso il lavoro di molti a realizzare il piano d’amore di Dio. Penso all’impegno della Caritas diocesana, alle centinaia di migliaia di pasti offerti ogni giorno; penso ad alcuni gesti simbolici, come quello dei comboniani: quando nel 2003, alcuni religiosi, si sono incatenati alla finestra della questura di Caserta per ricordare allo stato che ogni uomo ha diritto alla propria dignità; penso all’impegno dei laici della comunità di Sant’Egidio, che hanno abbattuto il concetto del “diverso” attraverso la formazione, l’educazione, la fraternità, permettendo allo straniero di studiare, di conoscere la lingua e la cultura italiana, donandogli le “armi” della conoscenza che conduce all’integrazione e quindi alla libertà.

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